Un tribunale ci ha condannati a pagare 150.000€ per una questione contrattuale, equiparando una cooperativa sociale a un’azienda profit e ignorandone la missione sociale.
Una cifra enorme, che potrebbe far chiudere per sempre la nostra realtà. Ma cosa significa davvero perdere Ambiente Solidale?
Dal 2006 siamo una realtà che restituisce dignità a chi vive ai margini della comunità o proviene, soprattutto, da storie di detenzione o dipendenza.
Dando loro lavoro, offriamo una possibilità concreta di ricominciare, sottraendo braccia alla criminalità organizzata, all’illegalità e al lavoro nero.
Difendere loro significa difendere tutti.
In questi anni, decine di persone sono tornate a camminare a testa alta grazie a questo progetto.
Dietro ogni volto c’è una storia di riscatto.
Dietro ogni storia, c’è un pezzo della serenità e della sicurezza di tutta la comunità.
Se questa cooperativa chiude, non perdiamo solo un’impresa sociale: perdiamo una barriera contro l’emarginazione, perdiamo posti di lavoro, perdiamo la possibilità di trasformare il dolore in nuova vita
Sono Antonio Capece, presidente della cooperativa sociale Ambiente Solidale di Napoli, una delle principali realtà di inserimento lavorativo del Sud Italia. Nata nel 2006 con la missione di creare lavoro dignitoso per persone in condizioni di svantaggio, opera nel settore ambientale e della raccolta differenziata. Un’impresa sociale che ha sempre scelto la legalità, competendo in un settore dominato da aziende profit – spesso coinvolte in interdittive antimafia – e che ha dato riscatto a centinaia di persone. Oggi diamo lavoro stabile a oltre 50 persone, di cui una quota significativa svantaggiati.
Oggi, però, questa esperienza rischia di finire.
Una recente sentenza del Tribunale di Napoli, immediatamente esecutiva nonostante non siano ancora note le motivazioni, condanna Ambiente Solidale al pagamento di circa 150mila euro. La causa riguarda presunte inadempienze nell’applicazione del contratto collettivo: secondo il giudice, a quattro ex lavoratori di un vecchio appalto non sarebbe dovuto essere applicato il contratto delle cooperative sociali, ma un diverso contratto di settore.
Questa vicenda si inserisce in un contesto già segnato dalla profonda crisi che investe a livello europeo e nazionale il comparto dei rifiuti tessili, settore in cui la cooperativa opera da anni. Il rischio concreto è la chiusura di Ambiente Solidale: ciò significherebbe non solo la perdita di posti di lavoro, ma soprattutto la fine di percorsi di inclusione e di riscatto sociale costruiti con fatica nel tempo.
La nostra storia lo dimostra (i nomi che seguono sono di fantasia):
Sono solo tre volti di una moltitudine: ogni cooperativa sociale di tipo B in Italia custodisce centinaia di queste storie.
Ciò che sta accadendo ad Ambiente Solidale non è un caso isolato.
Oggi le cooperative sociali di tipo B sono sotto attacco:
Eppure, i numeri parlano chiaro: in Italia esistono oltre 5mila cooperative sociali di inserimento lavorativo, con quasi 100mila occupati, di cui 35mila persone svantaggiate (persone con disabilità, persone con dipendenze, in carico ai servizi di salute mentale, detenuti o semiliberi).
Dietro queste cifre ci sono vite, famiglie, comunità intere.
Per salvare questa esperienza collettiva, occorrono azioni concrete:
Ambiente Solidale è un presidio di legalità, di riscatto sociale, di dignità del lavoro. Se chiude una realtà come questa, vince l’illegalità, perde la comunità.
Chiedo a tutti voi – media, istituzioni, fondazioni, colleghi del Terzo settore – di non restare indifferenti.
Chiedo ai presidenti delle cooperative sociali italiane di unirsi in questa battaglia, perché non riguarda solo noi, ma l’intero movimento della cooperazione sociale di inserimento lavorativo.
E chiedo a chi può, anche un aiuto concreto per sostenere Ambiente Solidale in questo momento difficile, affinché possa superare l’urto e continuare a garantire lavoro e dignità a chi ne ha più bisogno.
Con fiducia e determinazione
Antonio Capece
Presidente cooperativa sociale Ambiente Solidale
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